L’outback australiano si presta bene a rappresentare un mondo post apocalittico. Lo ha dimostrato su tutti Mad Max, chiaro punto di riferimento di David Michod per The Rover . Un deserto che sembra venire da un altro mondo, un mondo in cui sono passati dieci anni dal misterioso “collasso”, che ha reso quelle terre un nuovo far west senza legge e con scorribande continue di mercenari senza meta precisa. Senza spiegare bene cosa sia accaduto il regista riesce a rappresentare uno stato di ansia generalizzata che avvolge tutto il film, rendendolo credibilmente contemporaneo più che futuristico. Lo sviluppo tecnologico e industriale è arrivato a un punto di non ritorno e sono le materie prime, come le miniere australiane, a rappresentare una nuova corsa all’oro da parte di persone di tutto il mondo. Un Klondike senza speranza e futuro, ma con rassegnata disperazione. Il furto della macchina del protagonista, Guy Pearce, l’ultima cosa rimastagli, scatena la sua caccia febbrile ai tre responsabili. Lungo la strada incontrerà un ragazzo ferito, con problemi mentali, che diventerà un improbabile compagno di viaggio. Un ruolo per Robert Pattinson che ricorda, chissà se con la stessa funzione nella carriera, quello di Brad Pitt ne L’esercito delle dodici scimmie. Il regno animale con i suoi istinti domina questi lunghi rettilinei desertici interrotti giusto da qualche baracca mezza diroccata o diner asiatici, senza monopolio legale della violenza. Tutti si portano appresso ferite non rimarginate, spesso in senso letterale, che raccontano di una sopravvivenza fatta di istinto, di nervi, in cui si muore per una scusa qualsiasi e ci si imbambola a guardare intontiti un orizzonte lontano e primordiale. The Rover è un film on the road in cui la strada non porta da nessuna parte, in un circuito chiuso e privo di senso razionale così come le vite di chi la percorre. Secco e polveroso, lobotomizzato e rotto da improvvise rasoiate di violenza visiva e uditiva, il film non è particolarmente originale nella vicenda, ma ha una sua impronta stilistica sincopata che cattura, proponendo il solito eccellente Guy Pearce, ma anche un Robert Pattinson che questa volta convince anche per i risultati, oltre che per le intenzioni, nel suo lodevole sforzo di allontanarsi dall’immagine di icona teen.
The Rover è difatti un inseguimento on the road, ma anche il racconto di (de)formazione di un giovane ragazzo apparentemente un po’ ritardato (Robert Pattinson), che si offre volontariamente come ostaggio al solitario protagonista (Guy Pearce) e poco a poco stringe con lui un legame quasi fraterno, suggellato ovviamente da una buona dose di cadaveri e pallottole. Buona l’interpretazione di un Pattinson mai sopra le righe nonostante la parte delicata, e ormai sempre più agio con il cinema d’autore. Lo dimostra anche la sua doppia presenza qui sulla Croisette, dove sarà domani anche per il film di Cronenberg Maps to the Stars.
Questa atipica coppia di antieroi funziona anche grazie a due interpreti, con Pierce che ha qui forse uno dei migliori ruoli della sua carriera, recita con il fisico e con gli sguardi e illumina con la sua presenza ogni singola scena del film. Non è un attore che scopriamo certamente adesso, ma è anche un attore che da sempre fa "poco rumore" e vedendo performance del genere viene spontaneo chiedersi come mai. Per Robert Pattinson invece è un discorso esattamente opposto, perché è evidente che fino a questo momento ha raccolto molto più di quanto ha seminato, un po' per il prolungato effetto Twilight e un po' perché sembra particolarmente benvoluto da autori di grande spessore quali Cronenberg, Herzog, Gray; se finora quindi veniva abbastanza istintivo storcere il naso quando veniva nominato, da oggi in poi dovremo prestagli molta più attenzione, perché in questo film riesce finalmente a mostrare di che pasta è fatto e lo fa con un ruolo difficile, un ruolo in cui bastava davvero poco per risultare poco credibile se non addirittura grottesco e rischiare di rovinare così l'intero film. La seconda opera diretta dal talentuoso Michod è un film affascinante e riuscito per molti aspetti, ma certamente catturerà l'attenzione del pubblico soprattutto grazie alla presenza di Pattinson: il giovane attore ci regala qui la prima grande prova della sua carriera, ma ciò non toglie che è uno straordinario Guy Pearce a dominare il film dalla prima all'ultima inquadratura, con una presenza scenica straordinaria e degli sguardi che valgono più di qualsiasi dialogo.
L'intensità, quella vera, in The Rover attiene ai personaggi, al loro incedere lento in un modo che nessuno di loro riesce più a decifrare (e come potrebbe?). Sperduti, impauriti, in alcuni casi fuori di senno, anche quei comprimari "costruiti", evidentemente fuori luogo, funzionano perché attraverso le loro stramberie, i loro atteggiamenti inquietanti, c'è tutta la tragedia di un contesto pericolosamente allo sbando. Il duo Pearce-Pattinson riesce alla meraviglia, aggiungendo uno strato ulteriore su cui varrebbe la pena soffermarsi in dettaglio se non si corresse il rischio di dire più del dovuto. Vi basti che senza di loro il film sarebbe proprio un'altra cosa - azzardiamo: fine a sé stessa addirittura. Il regista australiano trova in qualche modo un pertugio per infilarci qualcosa che punti pure allo stomaco, sebbene coperto da un manto di sana intellettualità (giusto per distinguere dall'intellettualismo), che più che alla citazione e alla cultura punta a ragionare su uno stato di cose. Per immagini. Come piace a noi.
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