martedì 23 maggio 2017

Intervista a Kristen con La Repubblica - Cannes 2017


Kristen Stewart, famosa nel mondo da 10 anni soprattutto grazie alla saga Twilight (e ammiratissima lo scorso anno in Cafe Society di Woody Allen),  fa adesso il  suo debutto alla regia, a 27 anni, con il cortometraggio di 17 minuti Come Swim (Vieni a nuotare).  E lo fa addirittura a Cannes, anche se in realtà  il corto era già stato presentato a Sundance lo scorso gennaio.  La Stewart non è nuova a Cannes, c'era già stata come attrice coi Twilight e Cafe Society: ma questa è la prima volta che si presenta come regista e sceneggiatrice.

 Come Swim è  ispirato a una serie di dipinti e poesie da lei stessa sviluppati nel corso di quattro anni - come ci dirà in questo nostro breve incontro; segue le vicende di un trentenne (Josh Kaye nel cortometraggio), colto in vari stati di dolore, depressione, disperazione. Beve liquidi in maniera spasmodica, e non riesce a placare la sua sete. E'  iper-saturato, affonda, si ritrova sul fondo dell'oceano, con una voce femminile (la stessa Stewart) che gli ripete le stesse cose e non fa che peggiorare la sua sete. La secchezza e l'umidità estrema si fondono. Qual è la metafora dietro a quest'opera prima? Proviamo a chiederlo all'autrice, da noi incontrata nelle suite di Chanel, di cui è coccolatissima modella e testimonial.

 Kristen indossa una t-shirt che le lascia scoperto mezzo seno, pantaloncini cortissimi neri e  strisce di pelle intorno alle mani e alle gambe (tutto rigorosamente firmato Chanel); i capelli ossigenati rasati quasi a zero. Uno shock vederla così... ma quei suoi occhi verdi magnetici sono i medesimi che hanno fatto innamorare mezzo mondo. Parla senza  tirare fiato, ma guai a chiederle (è severamente proibito) della sua vita privata.

Kristen, il tema dell'esistenza sul  fondo dell'oceano è un  richiamo alla sua propria vita?
"E' quello che proviamo tutti quando ci sentiamo separati dagli altri. Ma non avevo paura a confrontarmi col tema della separazione e dell'alienazione. Anche delle mie stesse separazioni... Volevo tradurre in immagini un processo interiore".

Cosa rappresenta il protagonista?
"Il risveglio, direi. La vita interiore non riflette l'interazione quotidiana, quella che non puoi comunicare e che è invece una cosa normalissima, e un giorno ti senti così saturato che ti sembra come se stessi cercando di camminare sott'acqua;  non riesci a respirare, ma due centimetri più in là e respiri, e siamo tutti uguali. E ti dici: ma certo che  sono capace di vivere tra di voi".

Cosa voleva comunicare con Come Swim?
"La mia voglia di espandermi. Mi ero fissata sull'immagine di un maschio fuori posto, isolato, che celebra il proprio isolamento e dorme sul  fondo all'oceano. C'è immondizia in fondo all'oceano, ho visto immagini di tutta quella sporcizia che mi fanno rivoltare lo stomaco. Ricordo l'immagine di una sedia laggiù in fondo, e io nel mio breve film l'ho messa su un materasso. Sì, c'è anche ecologia".

"Siamo soggetti all'acqua in ogni modo - aggiunge - ne abbiamo bisogno per sopravvivere eppure è tanto più forte di noi. L'idea dietro il film è che l'unico modo per stare a galla è arrenderti a qualcosa contro cui non puoi vincere. Io sono una maniaca del controllo e personalmente odio l'acqua, non mi piace la spiaggia, sono claustrofobica, quindi per me aveva un senso per qualcuno che ha perso l'abilità di essere normale, come il protagonista del mio film, l'essere immerso in uno stato epico di sottomissione. Se lo combatti affoghi." 


Perché questo suo look "hard'?
"Perché dentro mi sento molto delicata, molto femminile, e volevo giocare coi contrasti".

 Cioè?
"Il fatto di cercare di apparire più dura e aggressiva mi ha aperto la mente. Ma ci tengo anche a dire che il mio prossimo progetto, JT Leroy, su una giovane che fa finta di essere uno scrittore transgender chiamato appunto JT Leroy, mi sta richiedendo di indossare varie parrucche, quindi tanto valeva raparmi quasi a zero e ossigenarmi!".

Lei nel frattempo sta girando il thriller Underwater: una coincidenza?
"Di nuovo sott'acqua, vero, ma certo che si tratta di una coincidenza. Stiamo girando in ordine cronologico, ed è un film che davvero mi sta sfiancando, dato che devo girare scene sott'acqua, vestita con muta e bombole che pesano 50 chili,  sono distrutta... è la storia di un laboratorio di ricerche sottomarino minacciato da un terremoto. E' un film tutto d'azione, molto maschile, ma è lì che ho scoperto dentro di me il lato femminile del personaggio".

E poi, cosa farà?
"Sto scrivendo. E sto cercando un film da dirigere come regista, ma non è facile. Mi è piaciuta l'esperienza del cortometraggio perché non c'è forma, non devi intrattenere in maniera standard, il che ti permette di incorporare il racconto visivo allo spirito esoterico e la commozione. Se invece hai un'ora e mezza o oltre di tempo devi mettere un inizio, una metà e una  fine. La durata ingabbia la struttura narrativa. Un corto no. Ovviamente come regista è meglio iniziare così. Come con un video musicale: puoi fare e sperimentare qualsiasi cosa. Ma sto esplorando l’idea di allungare il corto a un film, vedere il mio personaggio quando si risveglia, seguirlo".  

La sua esperienza a Cannes?
"E' sempre un montagna russa imprevedibile: non sai mai quello che ti aspetta. Per questo mi piace".

Il suo rapporto con Chanel?
"Ogni volta che vado a Parigi è come ritrovarmi in famiglia nel giorno di Ringraziamento: tutti ti vogliono bene e ti viziano, e tutti vogliono sapere tutto di te. Ammiro molto la creatività del loro team - "Poggia la borsa a terra, bene, click, fatto!"  -  e io aspiro a quella  medesima creatività senza fine".


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